Quello stesso giorno in cui, nel febbraio 2020, Lodi ed i comuni limitrofi venivano dichiarati “rossi” a causa dello scoppio della pandemia (di lì a pochi giorni sarebbe toccato all’intera Lombardia e, poche settimane dopo, a tutta l’Italia) io acquistavo la mia prima aula didattica on-line, dentro cui avrei traslocato (assieme ad i miei clienti) nel giro di poche ore e per i mesi a venire la quasi totalità del mio lavoro, sia per l’attività di docenza che per la consulenza.
Probabilmente non mi stavo accorgendo di cosa stesse capitando. Il timore di prendere il virus, la preoccupazione per la salute delle persone a me più vicine, le drammatiche scene in tv mi riempivano la testa ed i pensieri, facendo scivolare in secondo piano quella rivoluzione che stava accadendo anche a livello professionale. Io che ero abituato a fare il pieno di benzina alla macchina una volta a settimana. Io che spesso dovevo prendere il treno e fermarmi fuori a dormire, io che ero abituato ad uscire di casa alle sei e un quarto di mattina per tornarci la sera a filo per la cena.
La pandemia ci ha portato via persone che conoscevamo e a cui eravamo legate, ci ha riempito di preoccupazione, ci ha tenuti lontani togliendoci ogni forma di socialità. Ci ha allontanato gli uni dagli altri, mettendo a dura prova il nostro tessuto sociale così come le nostre relazioni. Ha rinchiuso gli anziani (i più colpiti dalla pandemia) nelle case di riposo ed ha impedito ai ragazzi di frequentarsi e ritrovarsi a scuola.
La pandemia ha messo in discussione anche il nostro lavoro e la nostra economia. Non solo facendoci lavorare da casa in “smartworking” (a proposito… sicuri che fosse proprio smartworking e non fosse solo un mero leggere la posta da casa e collegarsi ai propri dati con una VPN o in terminal server???), ma modificando le nostre metodologie di condivisione e confronto. In quei mesi tutti noi (anche chi che era allergico) abbiamo imparato a fare videoconferenze e videochiamate. L’E-commerce ha conosciuto tassi di sviluppo che nessuno avrebbe mai immaginato così rapidi e vertiginosi. In quei mesi abbiamo imparato a firmare in digitale, a condividere in cloud documenti scritti a più mani, perfino a digitalizzare i processi, consapevoli che lo smartwotking non può essere solo legato ad uno storage condiviso da qualche parte in cloud.
Insomma… abbiamo imparato ad essere più sostenibili e il digitale ci ha aiutato ad esserlo.
Non solo in termini ambientali. È vero, con le videoconferenze abbiamo ridotto gli spostamenti; con la conservazione sostitutiva abbiamo imparato a stampare di meno e a conservare le informazioni in bit anziché sulla carta; abbiamo imparato a firmare contratti in digitale e a condividerli in internet invece di spedirceli via posta cartacea (altri alberi che sarebbero altrimenti stati abbattuti; altri litri di benzina che sarebbero finiti nei serbatori dei servizi postali). Abbiamo imparato persino ad essere più veloci e tempestivi, pur evitando di interromperci in continuazione vicendevolmente, così da lasciarci sia più concentrati nel nostro lavoro, sia liberi di alternare brevi pause domestiche con momenti lavorativi ad altra produttività.
E poi c’è un’altra cosa davvero importante che va ricordata: diventando più “sostenibili” abbiamo anche risparmiato sia tempo sia denaro, perché stampare, etichettare e francobollare, spostarsi, mangiare fuori casa e pagare un posteggio sono cose che costano ed erodono sia il nostro tempo, sia il nostro portafogli. E siccome sia il tempo che i soldi non sono infiniti… anzi… meglio impiegarli altrove, in attività più strategiche e ripaganti.
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